Hemingway, Uomo e Natura

“Anche il pesce è mio amico” disse ad alta voce. “Non ho mai visto e non ho mai sentito parlare di un pesce simile. Ma devo ucciderlo. Sono contento che non dobbiamo cercar di uccidere le stelle.”

Pensa se ogni giorno un uomo dovesse cercar di uccidere la luna, pensò. La luna scappa. Ma pensa se ogni giorno uno dovesse cercar di uccidere il sole. Siamo nati fortunati, pensò.

Poi gli dispiacque che il grosso pesce non avesse nulla da mangiare e il dispiacere non indebolì mai la decisione di ucciderlo. A quanta gente farà da cibo, pensò. Ma sono degni di mangiarlo? No, no di certo. Non c’è nessuno degno di mangiarlo, con questo suo nobile contegno e questa sua grande dignità.

Non capisco queste cose, pensò. Ma è una fortuna che non dobbiamo cercar di uccidere il sole o la luna o le stelle. Basta già vivere sul mare e uccidere i nostri veri fratelli.

(Il Vecchio e il Mare)

La figura di Ernest Hemingway è abitualmente associata all’immagine di uomo virile, appassionato di caccia e pesca; eppure, come ci invita ad approfondire Marco Mastrorilli con il suo libro Il senso per la natura di Hemingway, questi lati della sua indole e del suo vissuto non escludono un profondo legame con il mondo naturale e i suoi diversi aspetti, dall’amore per gli animali al rispetto per l’ambiente.

Mastrorilli, ornitologo noto a livello internazionale e scrittore, già creatore di numerose iniziative divulgative come il Festival dei Gufi e del canale Youtube Gufotube, è anche un appassionato cultore dello scrittore dell’Illinois, a cui ha dedicato un sito internet, passionehemingway.it. Il suo campo professionale l’ha portato ad approfondire un aspetto ricorrente nella produzione letteraria di Hemingway: il rapporto, a volte contraddittorio, con flora, fauna e habitat.

Innanzitutto le considerazioni fatte vanno contestualizzate con l’epoca e le usanze: il concetto di “ecologia” come viene inteso oggi non era ancora presente, la caccia era mitizzata e molti dei più stimati naturalisti erano essi stessi cacciatori. Lo spirito vitalistico e “macho” dello scrittore americano non poteva non aderire a una certa visione del mondo, pur manifestando già una certa attenzione e critica allo sfruttamento della natura a opera dell’essere umano, alla crudeltà immotivata nei confronti degli animali, al potere rigenerante e terapeutico di foreste e aree selvagge. Nel 1933 nasce il suo amore per l’Africa, terra di contrasti e sensazioni forti, dove l’incontro-scontro tra uomo e natura va in scena tutti i giorni: Verdi colline d’Africa e Le nevi del Kilimanjaro sono testimonianza dell’evoluzione del suo approccio con queste tematiche.

La natura nei libri di Hemingway è anche simbolo e metafora di situazioni e stati d’animo; l’immersione panica nel mondo naturale e la sua intensa percezione, ben esemplificata da Gabriele d’Annunzio in Alcyone , viene condivisa da Hemingway ne Il Vecchio e il Mare, dove emerge l’impotenza dell’uomo di fronte alla forza degli elementi. L’anziano pescatore Santiago si trova in mezzo all’oceano, in compagnia di un enorme marlin, avversari ma uniti, rappresentazione della quotidiana lotta per la sopravvivenza. La solitudine e la piccolezza dell’essere umano al cospetto degli elementi portano Santiago a divenire lui stesso parte del tutto, essere marino che si rivolge al mare come a un confessore e ai suoi abitanti come a dei fratelli.

Ernest Hemingway fu anche un grande amante dei gatti, cogliendo tutto il fascinoso mistero dei piccoli felini domestici: tutt’ora, nella casa museo di Key West, si trovano i discendenti dei suoi gatti, portatori del gene della polidattilia.

Uscendo dai soliti cliché, invogliati alla rilettura o alla scoperta dei suoi romanzi, scopriamo una figura diversa da quella a cui siamo abituati, o per le meno più complessa e ricca di sfaccettature, come d’altronde è quella di ogni vero artista.

(Marco Mastrorilli, Il senso per la natura di Hemingway, Noctua Book, 2022)

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Ingres, tra il neoclassicismo e l’Impero

Saranno in mostra a Palazzo Reale fino al 23 giugno 2019 oltre 150 opere, provenienti da prestigiosi musei di tutto il mondo, tra cui il museo di Montauban, realizzate da Jean Auguste Dominique Ingres e dai suoi contemporanei: una produzione (siamo tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo) spesso tralasciata, ma che invece si rivela un interessante punto di passaggio tra il Rococò e i primi fervori romantici.

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Grande Odalisca (in grisaille), Ingres

Difficilmente inquadrabile, considerato erede di Raffaello, maestro del ritratto e della resa di modelli greco-romani e al tempo stesso non realista, come dimostra il famoso dipinto Grande Odalisca, inverosimile nella sua perfezione (la torsione del collo, la schiena troppo lunga), Ingres è il protagonista del percorso espositivo curato da Florence Viguier-Dutheil.

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La venditrice di amorini, J. M. Vien

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Torso d’uomo, Ingres

Allievo di David, Ingres è considerato uno dei più celebri esponenti dello stile neoclassico: tipiche dell’epoca sono le rappresentazioni di torsi virili d’ispirazione romana (Torso d’uomo), ma non mancano un grande interesse per il ritratto (Ritratto di Karoline Von Lichtenstein come Iris, di E. Vigée Le Brun, pittrice donna nota all’epoca) e le prime ambientazioni oniriche e notturne, prodromi dei soggetti preromantici (Il sogno di Ossian).

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Ritratto di Karoline Lichtenstein come Iris, E. Vigée Le Brun

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Il sogno di Ossian, Ingres

Le eroiche campagne e l’avvento di Napoleone hanno ovviamente grande impatto anche sull’espressione artistica; Milano, dal 1797 capitale della Repubblica Cisalpina, vive anni di fermento artistico, con il rinnovamento della Pinacoteca di Brera e il mecenatismo di Giovanni Battista Sommariva, politico, grande collezionista e patrocinatore di artisti, tra cui anche Andrea Appiani

Napoleone diviene uno dei soggetti principali di fregi e dipinti, nelle vesti di generale ma anche in trasposizione mitologica (Nettuno favorisce il ritorno di Napoleone in Egitto); insieme al celeberrimo ritratto di Ingres, Napoleone sul trono imperiale, del 1806, si possono visionare gli studi preparatori, che testimoniano l’attenta ricerca iconografica dell’artista: il trono e la posa ieratica di gusto bizantino, il velluto e l’ermellino, le aquile simbolo di potere, lo scettro di Carlo Magno.

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Napoleone sul trono imperiale, Ingres

Una sezione distinta viene riservata alle Odalische e alle “Dormienti”, soggetti ricorrenti nella produzione di Ingres che uniscono fascino classico e straniamento visivo; per concludere con l’arte di fine Impero, di stile Troubadour, una corrente francese che raffigura per lo più scene di interni medioevali e rinascimentali, in piccolo formato, di cui La morte di Leonardo da Vinci (1818) e Raffaello e Fornarina (1813) sono esempio.

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Morte di Leonardo da Vinci, Ingres

Per il pittore urbinate Ingres aveva una certa venerazione, tanto da realizzare una copia del famoso Autoritratto di Raffaello; amico di Liszt, Paganini e Stendhal, così lo descrisse Baudelaire: “Talento avaro, crudele, collerico, sofferente, straordinario miscuglio di qualità in contrasto, messe tutte quante al servizio della natura, e la cui stranezza non costituisce di certo una fra le cause minori del suo fascino: fiammingo nella stesura, individualista e naturalista nel disegno, volto all’antico per congenialità, idealista per ragionamento»

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Raffaello e Fornarina, Ingres

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Storia di 12 uomini straordinari: la biografia della Forza

Cosa accomuna Ludwig van Beethoven e Martin Lutero, Napoleone Bonaparte e Gugliemo Marconi, Heinrich Schliemann e Rasputin? L’ostinazione, la genialità, il coraggio, o forse altro ancora?

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Attraverso la vicenda biografica di 12 personaggi scelti ad exemplum, vissuti in epoche diverse, differenti per origine, temperamento e obiettivi, Emanuele Franz, eclettico scrittore e filosofo friulano, ne La biografia della Forza, ricerca il fil rouge che li lega, che ha reso e rende possibile la realizzazione di opere titaniche e imprese impensabili.

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La Forza, che si manifesti in un’idea, in un sogno, in un’aspirazione, per quanto audace e folle possa apparire, attecchisce nell’animo di coloro che sono predisposti ad ascoltare il suo richiamo e a lasciare indietro agi e sicurezze. Così diventano possibili le scoperte più imprevedibili e chimeriche, come la pastorizzazione e i vaccini di Louis Pasteur, il telegrafo senza fili di Marconi, il ritrovamento delle vestigia di Ilio seguendo la tradizione omerica di Schliemann.  Così Beethoven, nonostante la sordità, è riuscito a comporre opere immortali e Gandhi ha potuto condurre una rivoluzione non violenta; anche le imprese militari più ardite sono una rivelazione della Forza, come l’incredibile ascesa e le campagne di Napoleone o la conquista dell’impero Azteco, ai limiti del visionario, di Cortés.

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Una lettura delle vicende storiche originale e inedita, da una prospettiva fuori dal comune: personalità diverse, con aspirazioni apparentemente irrealizzabili e, spesso, condizioni di vita precarie e difficili, hanno saputo distinguere il richiamo della Forza e compiere l’impossibile: non è detto che, un giorno, non possa capitare anche a noi…

 

(Emanuele Franz, La biografia della Forza – attraverso la vita di 12 uomini straordinari, Audax Editrice, 2017)

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Fiume, epopea a fumetti

Artisti, letterati, aviatori un po’ dandy, politici, avventurieri, scienziati e musicisti; una “Città di Vita”, libera, entusiasta, dove le utopie sembravano divenire realtà; azioni eroiche e ardimentose, colpi di scena e divertenti imprevisti: sono i protagonisti e il soggetto perfetti per un romanzo d’avventura, o  – perchè no – per una storia a fumetti.

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d’Annunzio e i Legionari

 

Proprio  l’intento di ripercorrere e far conoscere l’impresa di Fiume,  a quasi cent’anni dagli avvenimenti storici, ha spinto Carlo Sicuro e Manlio Bonati a realizzare Fiume – l’epica impresa di Gabriele d’Annunzio e dei suoi uomini 1919 – 1920 (Allagalla editore).

Graphic novel illustrato da Yildirim Örer e Mauro Vecchi, Fiume narra con vivacità e immediatezza le turbinose vicende del Comandante Gabriele d’Annunzio e i suoi Legionari, soffermandosi particolarmente, oltre che sul Vate, sulle figure di Guido Keller, l’Asso di Cuori, eccentrico aviatore, nudista, vegetariano, sempre accompagnato dalla sua fedele aquila addestrata, e dello scrittore Giovanni Comisso, volontario nel primo conflitto e in seguito associatosi a d’Annunzio nel periodo fiumano.

Tra le pagine appaiono anche altri nomi celebri coinvolti a vario titolo nell’esperienza fiumana, come Arturo Toscanini, Enrico Fermi, Alceste de Ambris, Filippo Tommaso Marinetti, Benito Mussolini, Ettore Muti e perfino il letterato giapponese Shimoi Harukichi.

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Guido Keller e Gabriele d’Annunzio

 Per raccontare l’epopea di Fiume, dal Volo su Vienna al celebre lancio del pitale su Montecitorio di Keller, passando per la rivoluzionaria Carta del Carnaro e i malumori di Nitti “Cagoia”  fino al drammatico Natale di Sangue, gli autori hanno utilizzato fotografie e immagini d’epoca, per restituire con maggiore vividezza e verosimiglianza ambientazioni e fisionomie dei personaggi; inoltre Manlio Bonati, già soggettista per diverse riviste di fumetti e biografo di Vittorio Bottego, si è servito della sua vasta biblioteca sull’argomento.

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Keller prepara il pitale…

 

Il risultato è un testo avvincente, che rende con efficacia l’atmosfera intensa, concitata e folle del biennio fiumano e il successivo esilio volontario di d’Annunzio nella gabbia dorata del Vittoriale, che, parimenti ai suoi compagni di ventura, visse gli anni successivi nell’indelebile ricordo della Città di Vita.

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Legionari con d’Annunzio a Fiume

Come scrive Carlo Sicuro nell’introduzione (…) questa vicenda storica pare proprio nata per divenire fumetto, dopo quasi un secolo. La storia di Fiume diviene quindi leggenda, ma leggenda non è perché tutto è vero.

(Per approfondire la vicenda fiumana, Comisso e la Città di Vita e La bambola e il Superuomo)

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(Fiume L’epica impresa di Gabriele d’Annunzio e dei suoi uomini 1919-1920, Allagalla editore, 2018)

allagalla.it

 

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Consigli d’epoca per fanciulle da marito

I primi tepori primaverili risvegliano nella giovane Emma sentimenti amorosi; come potranno i genitori – e in particolar modo il padre medico – guidare la ragazza alla scoperta del complesso e delicato mondo dei turbamenti erotici?

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Con questi lodevoli intenti nasce L’arte di prender marito, delizioso trattatello datato 1894, ma di gradevole lettura ancor oggi.

Dedicato alle troppo impazienti, alle troppo esigenti, alle troppo positive, che credono bastare alla felicità del matrimonio molti quattrini e una corona, alle troppo poetiche, che credono bastare al matrimonio l’amore, (…) perchè tutte imparino, che se il matrimonio può darci la massima felicità, è anche la più instabile delle combinazioni chimiche; il più delicato, il più intricato, il più fragile di tutti i meccanismi.

Con incantevole ironia Paolo Mantegazza (1831-1910), studioso di antropologia e tra i primi divulgatori delle teorie darwiniane, tratteggia i profili dei possibili mariti, tra pregi e difetti, molti dei quali attualissimi.

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Paolo Mantegazza

Il bancario, l’avvocato, il militare, il commerciante, il politico, il marito tiranno, quello debole, il geloso, il libertino, l’avaro, il fannullone… ritratti al vetriolo di categorie maschili che non si discostano molto dalle odierne: di ognuna l’autore valuta pregi e difetti, grettezze e generosità, suggerendo all’inesperta Emma quelle da preferire o da evitare a ogni costo, fosse anche il rischio di restare zitella!

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Emma si trova a dover scegliere fra tre pretendenti, diversi per estrazione, età, educazione: si consiglia con l’amica del cuore, tentenna, ma alla fine sarà proprio il “manuale” del padre che l’aiuterà a sciogliere il dilemma; forse oggi non approveremmo la decisione, ma restano valide e argute molte osservazioni sull’indole umana.

A meno che l’artista sia uomo di genio o abbia un cuore di angelo, non sposarlo mai (…) Anche l’artista di genio, anche l’artista incoronato con l’aureola della gloria, è un marito pericoloso, e se tu sei gelosa, non devi sposarlo. Sua prima amante è l’arte e ti metterà sempre al disotto di essa.

La professione è tanta parte di un uomo, che non si può levargliela di dosso senza strappare qualche lembo di pelle, senza lacerarne anche le carni. (…) Felice, tre volte felice, colui che la sceglie trascinato imperiosamente, irresistibilmente dai bisogni del  proprio cervello e del proprio cuore.

Dunque tu devi fare in modo, che di quando in quando, per salute o per affari ti lasci sola; ed egli rimanga solo. Non seguirlo da per tutto e per sempre, nè vantarti mai di non poter stare un giorno senza di lui. Credo che soffrirai della sua assenza e che anch’egli dividerà il tuo dolore; ma saranno due dolori, che prepararenno gioie infinite per voi. Dopo un lungo digiuno ogni cibo ci sembra squisito; dopo una lunga sete ogni acqua ci par deliziosa.

 

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Dal mondo del vino…

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Per amanti, estimatori, curiosi ed apprendisti enofili,  pubblico in questo post una raccolta di miei articoli apparsi finora dedicati alle degustazioni: per lo più si tratta di serate di notevole interesse organizzate da AIS Milano negli ultimi anni.

Madeira, storia dell’incredibile vino che arriva dai Tropici 

Vitovska, il vino delle rocce

Libano, emozioni enologiche tra antico e moderno

Travaglini e il Gattinara: tre generazioni di grandi vini

La Lilliput di Francia e i suoi grandi vini

Il Collio si racconta (in nove calici)

Thomas Niedermayr i vitigni PIWI: innovazione sostenibile

Vinitaly, consigli… per gli assaggi

I vini del Carso: dal mare alle rocce, dal bianco all’orange

Antichi e autoctoni: alla scoperta dei vini campani

Collio Day

Sancerre, cristalli liquidi scolpiti nella selce

Calici arcaici: la Sardegna che non ti aspetti

Collio, terra di bianchi di gran classe

Dolcetto di Dogliani, classico piemontese

Un rosso dove non te lo aspetti: lo Schioppettino di Prepotto

La Chimera minerale

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Toulouse-Lautrec e l’esprit di Montmartre

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Prosegue fino al 18 febbraio a Milano presso Palazzo Reale Il mondo fuggevole di Toulouse Lautrec, la mostra dedicata a Henri de Toulouse Lautrec (1864-1901), grande protagonista e interprete della fervida vita parigina fin-de-siècle.

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Henri Toulouse Lautrec

 

Di nobili origini, vocato al disegno sin dall’infanzia, Lautrec fu segnato irrimediabilmente da una serie di fratture alle gambe, che ne bloccarono la crescita ossea e lo resero disabile a vita; giunto a Parigi per approfondire lo studio della pittura, scelse di vivere a Montmartre, leggendario quartiere popolare di cabaret, cafè chantant, case chiuse, prediletto dagli artisti.

La bizzarra e affascinante fauna di Montmartre divenne uno dei soggetti prediletti da Toulouse Lautrec; artisti come Aristide Bruant, Jane Avril, la Goulue, May Belfort, Yvette Guilbert e tanti altri protagonisti del Moulin Rouge e della vita teatrale, vengono ritratti nella loro oggettività, senza pregiudizi morali o di altro genere: nel tratto veloce e ineffabile di Lautrec emergono tutta la loro vivacità, le smorfie grottesche, i difetti caratterizzanti di volti vivi e reali, senza alcuna idealizzazione.

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Aristide Bruant

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May Milton

Colori brillanti, intensi e piatti, linee dinamiche, tagli compositivi arditi e influsso delle stampe giapponesi: sono le caratteristiche delle affiche, ovvero i poster pubblicitari stampati in gran numero per attirare i passanti, divenuti un vero e proprio stile pittorico: dagli spettacoli delle vedette di grido alle réclame pubblicitarie, la matita di Lautrec fissa per sempre l’esprit dell’epoca, i volti, i vestiti, i colori seducenti della vita notturna parigina.

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La Loge au mascaron doré

L’anticonformista Lautrec guarda con simpatia il mondo degli artisti, degli irregolari, delle donne che lavorano nelle maison closes: le ritrae senza malizia nell’umanità dei loro gesti quotidiani, dal risveglio alla toeletta, dall’acconciatura dei capelli ai momenti di affetto tra donne.

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Madame Poupule à la toilette

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Au lit

Durante il percorso espositivo si possono scoprire anche lati inediti del carattere del pittore: nonostante i dolori causati dalla sua malformazione, che lo porteranno a abusare di alcool e oppiacei e a morire a soli 36 anni, Lautrec era dotato di grande autoironia: lo testimoniano le divertenti fotografie che lo ritraggono in pose bizzarre, in vesti giapponesi, nudo in barca; inoltre spesso si divertiva a decorare con il suo tratto inconfondibile i menù delle cene che organizzava con gli amici artisti, inviti e programmi di sala.

(Pubblicato su weblombardia )

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La clownesse assise

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Ta bouche

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Malaparte, sessant’anni dopo

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Malaparte con il cane Febo

Proprio oggi, 19 luglio 2017, ricorre il sessantesimo anniversario della morte di Curzio Malaparte: poliedrico, discusso, amato e odiato protagonista dell’Italia letteraria (e non solo) del Novecento. Benedetto italiano e maledetto toscano, dimenticato per lungo tempo: fascista, comunista, ateo, cattolico, non c’è etichetta che non gli sia stata affibbiata; opportunista, affabulatore, seduttore di dame ma anche di lettori di tutto il mondo, che hanno apprezzato opere come La Pelle e Kaputt.

In Italia, invece, Curzio Malaparte è tornato agli “onori” della cronaca recentemente, grazie alla coppia di scrittori Rita Monaldi e Francesco Sorti, che hanno eletto il vulcanico pratese protagonista del loro ultimo libro del 2016, candidato al premio Strega, Malaparte. Morte come me. , ispiratore anche della proposta (non accettata) di conferire a Malaparte,  candidato – a sua insaputa – nel 1950 con La Pelle, uno premio Strega in memoriam; chissà come l’avrebbe presa il maledetto toscano, che al giallo liquore beneventano dichiarava di preferire lo champagne?

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Tornando al romanzo di Monaldi & Sorti, si tratta di un delizioso “giallo” ricco di citazioni che il lettore malapartiano si divertirà a individuare, rimandi, riferimenti a figure realmente esistite e tocchi di finzione letteraria. Curzio, il protagonista, si trova, ricoverato in fin di vita, costretto a scrivere il suo ultimo romanzo, commissionato dall’ineffabile Signora in nero, che per l’occasione si presenta nelle sembianze dell’algida Mona Williams; inizia così un lungo flash back, ambientato a Capri nel 1939.

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Malaparte a Capri

Tra ricevimenti eleganti, orchestrine jazz, attori americani, ufficiali nazisti, eccentrici miliardari e personaggi folcloristici, si muove con classe e arguzia Malaparte, dandy e provocatore; ma l’inattesa accusa dell’omicidio di una giovane e talentuosa poetessa inglese, Pamela Reynolds, lo costringerà a nascondersi, nei dintorni del cantiere della sua futura “Casa come me”, e condurre una complessa indagine, con la collaborazione dell’inseparabile cane Febo, in cui sono coinvolti importanti personaggi italiani e stranieri.

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Casa Malaparte, punta Massullo, Capri

Una lettura che può essere apprezzata su più livelli; la trama gialla, i riferimenti storici e di costume, e, soprattutto, l’abilità mimetica con cui gli autori sono riusciti ad assorbire lo stile e il fraseggio, rendendo alcuni passaggi così malapartiani da sembrare scritti  da Malaparte stesso. Malaparte come loro? Di sicuro questo romanzo è anche un invito, per chi non lo conoscesse. a riscoprire le opere del “maledetto toscano”.

(Per chi volesse saperne di più su Malaparte e la sua “schiava” Biancamaria, “schiava” di Malaparte)

 

 

 

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Tradizione e viticoltura dal XVI secolo: la Cantina del Glicine di Neive

A Neive (CN), grazioso paese langarolo, uno dei Borghi più belli d’Italia, circondato da vigneti di uve dolcetto, barbera e nebbiolo (siamo nella zona di produzione del celebre Barbaresco), tra mattoni rossi e verdi arbusti rampicanti, si nasconde una cantina del… 1582!

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Utilizzata  all’epoca dalla nobile famiglia Dal Pozzo della Cisterna, è un’attestazione di quanto antico e profondo sia il legame tra queste colline, recentemente riconosciute patrimonio Unesco, e l’arte della vinificazione.

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Con arcate caratterizzate dalla disposizione dei mattoni “a spina di pesce”, la suggestiva cantina, che ricorda incisioni seicentesche e racconti gotici, scende per oltre 9 metri sotto il livello del suolo: si conservano nelle nicchie barriques e botti, dove sostano i vini in evoluzione.

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Attualmente l’antica cantina, testimonianza del Barocco piemontese, appartiene a una piccola azienda, la Cantina del Glicine, che produce Arneis, Moscato d’Asti, Dolcetto d’Alba, Nebbiolo d’Alba, Barbera d’Alba e, ovviamente, Barbaresco.

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Ai visitatori, giunti nel negozio dopo il percorso sotterraneo, ricco di simpatici ninnoli, statuette e immagini ritraenti gatti e gufi, , viene offerta in degustazione una selezione dei vini dell’azienda, accompagnata da nocciole delle Langhe e formaggi: da segnalare, oltre ai Barbaresco cru Currà e Marcorino, l’interessante Barbera d’Alba, nelle versioni classica e barricata, prodotta secondo l’usanza tradizionale (permessa dal disciplinare) con 90% di uve barbera e 10% di nebbiolo, che rende il vino più profumato e morbido: una rarità, dato che questo stile di produzione viene utilizzato ormai da pochissimi.

 

 

 

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Manet e la Parigi fin de siècle

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Ritratto di Zola, Manet

Prosegue fino al 2 luglio la mostra di Palazzo Reale dedicata a Édouard Manet e alla Parigi del tardo Ottocento: oltre ad alcune opere del celeberrimo pittore francese, provenienti dalla collezione del Museo d’Orsay, sarà possibile ammirare numerose opere di artisti coevi, come Cézanne, Renoir, Degas, Boldini, Tissot e Berthe Morisot: completano l’esposizione disegni e acquerelli di Manet e di altri pittori.

Il percorso espositivo si apre con una sala dedicata alla cerchia artistica con cui Manet (1832- 1883) ebbe contatti: tra questi, Baudelaire, Zola e la pittrice Berthe Morisot, sua modella e in seguito cognata. Segue una sezione che evidenzia i cambiamenti radicali e la modernizzazione della città di Parigi; con nuove costruzioni e fermento culturale, la capitale francese diventa meta di artisti e intellettuali provenienti da tutta l’Europa.

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Cameriera della birreria, Manet

Tra caffè e brasserie, teatri d’opera e balletto si svolge la frizzante vita parigina, sia per i ceti abbienti che per quelli più popolari: Manet ritrae scene in questi ambienti, luoghi d’incontro del demi monde, focalizzandosi spesso sui singoli personaggi, come la Cameriera della birreria. Spiccano anche Il Ballo di Tissot, Scena di festa di Boldini e Una serata di Béraud, dalla atmosfere proustiane.

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Scena di festa, Boldini

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Il ballo, Tissot

La Senna, che bagna Parigi, e le sue rive, vengono spesso rappresentate dai pittori: numerose sono le scene di scampagnate campestri, ispirate dal famoso Déjeuner sur l’herbe dello stesso Manet, dipinte da Cézanne, Monet e altri.

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Chiaro di luna sul porto di Boulogne, Manet

Manet subisce anche il fascino delle vedute marine, forse per le sue esperienze come mozzo: emblematico è Il chiaro di luna sul porto di Boulogne.

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Ramo di peonie bianche, Manet

Anche i critici più severi concordavano che il pittore eccellesse nel ritrarre soggetti inanimati: le peonie, fiore preferito di Manet, sono ritratte accanto a delle cesoie per rendere l’ineffabile caducità del momento (Ramo di peonie bianche).

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Angelina, Manet

L’esposizione prosegue con una sezione dedicata alla Spagna: affascinato dai quadri di Velàzquez esposti al Louvre e influenzato dall’ispanismo allora in voga, Manet ritrae soggetti come la ballerina Lola di Valencia, Angelina e Il pifferaio, rifiutato dal Salon per la stesura dei colori e la mancanza di prospettiva, che lo accomunano quasi a una carta da gioco.

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Il pifferaio, Manet

Non mancano omaggi all’universo femminile, come il Balcone, dove le figure in bianco spiccano e contrastano con il verde delle persiane e della ringhiera, che lasciò perplessi pubblico e critica del Salon anche per la mancanza di un soggetto vero e proprio, e il magnetico Berthe Morisot con un mazzo di violette, in nero.

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Il balcone, Manet

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Berthe Morisot con un mazzo di violette, Manet

Affianco, alcune opere di Tissot (Due sorelle), Stevens e Renoir, che cattura il fascino misterioso delle donne con veletta (Madame Darras, Giovane donna con veletta).

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Madame Darras, Renoir

 

 (Pubblicato su Mondopressing)

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